Il filone dell’architettura razionalista è stato l’ultimo qui in Italia con caratteristiche chiaramente riconoscibili. Non c’è città o paese lungo tutto lo stivale (ed anche nelle colonie possedute fino al 1943) che non preservi una costruzione con i caratteristici stilemi dell’architettura cosiddetta anche “di regime”. Infatti, il regime fascista ha individuato e, nella persona dello stesso Mussolini (su indicazioni pare anche della Sarfatti che lo ha avvicinato e appassionato al “culto della romanità”), ha voluto connotare un tipo di architettura che, al pari degli altri totalitarismi presenti in Europa e nel resto del mondo, lo magnificasse ed identificasse. Serie di esedre, linee sobrie, marcate e lineari, corpi angolari e bombati caratterizzano sedi municipali, case del fascio, dei balilla, scuole, ospedali ed edilizia residenziale e civile. L’edilizia, in quegli anni coincidenti con la crisi mondiale del ’29, viene vista come un tampone alla diffusa disoccupazione nelle classi meno abbienti. Non è un caso infatti che, specie dagli anni Trenta in poi, ci sia stato un intenso slancio edilizio e tutt’oggi restano ancora innumerevoli esempi di quanto prodotto in quel Ventennio e che è sopravvissuto ai bombardamenti bellici e all’incuria, alle demolizioni e all’oblio successivi.
Ormai i tempi sono maturi affinché si liberino questi siti (in riferimento soprattutto alle borgate ed alle città di fondazione molto fiorenti sempre in quell’arco di tempo) dalla damnatio memoriae in cui sono stati avvolti nel periodo post-bellico per evidenti motivi politici e sociali.
Indipendentemente dalle singole visioni, il controverso arco di tempo tra le due guerre è tornato di grande interesse negli ultimi anni sia a livello cinematografico e televisivo che culturale più in generale (mostre, uscite filateliche, libri). Non si può trascurare al riguardo proprio l’architettura che nel razionalismo ha visto cimentarsi una folta schiera di giovanissimi e validissimi architetti come Giuseppe Terragni, Marcello Piacentini, Angiolo Mazzoni, Enrico del Debbio e Luigi Moretti solo per citarne alcuni.
Nella ricchissima schiera di pubblicazioni che hanno censito il periodo fascista sotto gli aspetti più disparati, c’è da segnalare una raccolta fotografica sul centro foggiano di Manfredonia edito da Palombi Editori. Il 36enne autore Marco Guerra, originario del centro sipontino ma residente da qualche anno a Roma, ha voluto dedicare la sua pubblicazione (Manfredonia, percorso fotografico di una città “scomparsa”, www.palombieditori.it, info presso l’autore all’indirizzo e-mail 03498825881@vodafone.it), oltre che alla sua città natale e agli appassionati in genere, al 70° anniversario della fondazione della borgata di Siponto, oggi circoscrizione di Manfredonia, che viene puntualmente citata nei testi sulle città di fondazione ma di cui non esistevano foto d’epoca che la attestassero. Un altro omaggio, insomma, alla frenetica produzione architettonica ed all’inquadramento delle masse che si attuarono dalla metà degli anni Venti fino a tutto il corso del secondo conflitto mondiale. Ancora oggi purtroppo, anche spesso, miopi e stolte amministrazioni comunali, specie di cittadine di provincia, non colgono il valore storico che ci è stato lasciato in eredità da quel periodo molto fervido anche dal punto di vista culturale più in generale che andrebbe quindi valutato con menti libere da pregiudizi ideologici e non colpevolmente e scientemente cancellato.
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lunedì 22 marzo 2010
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