lunedì 2 novembre 2015

LO SCANDALO "POLITICO" DI PASOLINI

PER ONORARE LA MEMORIA DI UN GRANDE POETA ,ARTISTA ,INTELLETTUALE Lo scandalo Radicale Pier Paolo Pasolini Prima di tutto devo giustificare la presenza della mia persona qui. Non sono qui come radicale. Non sono qui come socialista. Non sono qui come progressista. Sono qui come marxista che vota per il Partito Comunista Italiano, e spera molto nella nuova generazione di comunisti. Spera nella nuova generazione di comunisti almeno come spera nei radicali. Cioè con quel tanto di volontà e irrazionalità e magari arbitrio che permettono di spiazzare - magari con un occhio a Wittgenstein - la realtà, per ragionarci sopra liberamente. Per esempio: il Pci ufficiale dichiara di accettare ormai, e sine die, la prassi democratica. Allora io non devo aver dubbi: non è certo alla prassi democratica codificata e convenzionalizzata dall'uso di questi tre decenni che il Pci si riferisce: esso si riferisce indubbiamente alla prassi democratica intesa nella purezza originaria della sua forma, o, se vogliamo, del suo patto formale. Alla religione laica della democrazia. Sarebbe un'autodegradazione sospettare che il Pci si riferisca alla democraticità dei democristiani; e non si può dunque intendere che il Pci si riferisca alla democraticità, per esempio, dei radicali. Paragrafo primo A) Le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere dei diritti. B) Sono adorabili anche le persone che, pur sapendo di avere dei diritti, non li pretendono o addirittura ci rinunciano. C) Sono abbastanza simpatiche anche quelle persone che lottano per i diritti degli altri (soprattutto per coloro che non sanno di averli). D) Ci sono, nella nostra società, degli sfruttati e degli sfruttatori. Ebbene, tanto peggio per gli sfruttatori. E) Ci sono degli intellettuali, gli intellettuali impegnati, che considerano dovere proprio e altrui far sapere alle persone adorabili, che non lo sanno, che hanno dei diritti; incitare le persone adorabili, che sanno di avere dei diritti ma ci rinunciano, a non rinunciare; spingere tutti a sentire lo storico impulso a lottare per i diritti degli altri; e considerare, infine, incontrovertibile e fuori da ogni discussione il fatto che, tra gli sfruttati e gli sfruttatori, gli infelici sono gli sfruttati. Tra questi intellettuali che da più di un secolo si sono assunti un simile ruolo, negli ultimi anni si sono chiaramente distinti dei gruppi particolarmente accaniti a fare di tale ruolo un ruolo estremistico. Dunque mi riferisco agli estremisti, giovani, e ai loro adulatori anziani. Tali estremisti (voglio occuparmi soltanto dei migliori) si pongono come obiettivo primo e fondamentale quello di diffondere tra la gente direi, apostolicamente, la coscienza dei propri diritti. Lo fanno con determinazione, rabbia, disperazione, ottimistica pazienza o dinamitarda impazienza, secondo i casi (...) Paragrafo secondo Disobbedendo alla distorta volontà degli storici e dei politici di mestiere, oltre che a quella delle femministe romane - volontà che mi vorrebbe confinato in Elicona esattamente come i mafiosi a Ustica - ho partecipato una sera di questa estate a un dibattito politico in una città del Nord. Come sempre poi succede, un gruppo di giovani ha voluto continuare il dibattito anche per strada, nella serata calda e piena di canti. Tra questi giovani c'era un greco. Che era, appunto, uno di quegli estremisti marxisti "simpatici" di cui parlavo. Sul suo fondo di piena simpatia, si innestavano però manifestamente tutti i più vistosi difetti della retorica e anche della sottocultura estremistica. Era un "adolescente" un po' laido nel vestire; magari anche addirittura un po' scugnizzo: ma, nel tempo stesso, aveva una barba di vero e proprio pensatore, qualcosa tra Menippo e Aramis; ma i capelli , lunghi fino alle spalle, correggevano l'eventuale funzione gestuale e magniloquente della barba, con qualcosa di esotico e irrazionale: un'allusione alla filosofia braminica, all'ingenua alterigia dei gurumparampara. Il giovane greco viveva questa sua retorica nella più completa assenza di autocritica: non sapeva di averli, questi suoi segni così vistosi, e in questo era adorabile esattamente come coloro che non sanno di avere diritti... Tra i suoi difetti vissuti così candidamente, il più grave era certamente la vocazione a diffondere tra la gente ("un po' alla volta", diceva: per lui la vita era una cosa lunga, quasi senza fine) la coscienza dei propri diritti e la volontà di lottare per essi. Ebbene; ecco l'enormità, come l'ho capita in quello studente greco, incarnata nella sua persona inconsapevole. Attraverso il marxismo, l'apostolato dei giovani estremisti di estrazione borghese - l'apostolato in favore della coscienza dei diritti e della volontà di realizzarli - altro non è che la rabbia inconscia del borghese povero contro il borghese ricco, del borghese giovane contro il borghese vecchio, del borghese impotente contro il borghese potente, del borghese piccolo contro il borghese grande. E' un'inconscia guerra civile - mascherata da lotta di classe - dentro l'inferno della coscienza borghese. (Si ricordi bene: sto parlando di estremisti, non di comunisti). Le persone adorabili che non sanno di avere diritti, oppure le persone adorabili che lo sanno ma ci rinunciano - in questa guerra civile mascherata - rivestono una ben nota e antica funzione: quella di essere carne da macello. Con inconscia ipocrisia, essi sono utilizzati, in primo luogo, come soggetti di un transfert che libera la coscienza dal peso dell'invidia e del rancore economico; e, in secondo luogo, sono lanciati dai borghesi giovani, poveri, incerti e fanatici, come un esercito di paria "puri", in una lotta inconsapevolmente impura, appunto contro i borghesi vecchi, ricchi, certi e fascisti. Intendiamoci: lo studente greco che qui ho preso a simbolo era a tutti gli effetti (salvo rispetto a una feroce verità) un "puro" anche lui, come i poveri. E questa "purezza" ad altro non era dovuta che al "radicalismo" che era in lui. Paragrafo terzo Perché è ora di dirlo: i diritti di cui qui sto parlando sono i "diritti civili" che, fuori da un contesto strettamente democratico, come poteva essere un'ideale democrazia puritana in Inghilterra o negli Stati Uniti - oppure laica in Francia - hanno assunto una colorazione classista. L'italianizzazione socialista dei "diritti civili" non poteva fatalmente (storicamente) che volgarizzarsi. Infatti: l'estremista che insegna agli altri ad avere dei diritti, che cosa insegna? Insegna che chi serve ha gli identici diritti di chi comanda. L'estremista che insegna agli altri a lottare per ottenere i propri diritti, che cosa insegna? Insegna che bisogna usufruire degli identici diritti dei padroni. L'estremista che insegna agli altri che coloro che sono sfruttati dagli sfruttatori sono infelici, che cosa insegna? Insegna che bisogna pretendere l'identica felicità degli sfruttatori. Il risultato che in tal modo eventualmente è raggiunto è dunque una identificazione: cioè nel caso migliore una democratizzazione in senso borghese. La tragedia degli estremisti consiste così nell'aver fatto regredire una lotta che essi verbalmente definiscono rivoluzionaria marxista-leninista, in una lotta civile vecchia come la borghesia: essenziale alla stessa esistenza della borghesia. La realizzazione dei propri diritti altro non fa che promuovere chi li ottiene al grado di borghese. Paragrafo quarto In che senso la coscienza di classe non ha niente a che fare con la coscienza dei diritti civili marxistizzati? In che senso il Pci non ha niente a che fare con gli estremisti (anche se alle volte, per via della vecchia diplomazia burocratica, li chiama a sé: tanto, per esempio, da aver già codificato il Sessantotto sulla linea della Resistenza)? E' abbastanza semplice: mentre gli estremisti lottano per i diritti civili marxistizzati pragmaticamente, in nome, come ho detto, di una identificazione finale tra sfruttato e sfruttatore, i comunisti, invece, lottano per i diritti civili in nome di una alterità. Alterità (non semplice alternativa) che per sua stessa natura esclude ogni possibile assimilazione degli sfruttati con gli sfruttatori. La lotta di classe è stata finora anche una lotta per la prevalenza di un'altra forma di vita (per citare ancora Wittgenstein potenziale antropologo), cioè di un'altra cultura. Tanto è vero che le due classi in lotta erano anche - come dire? - razzialmente diverse. E in realtà, in sostanza, ancora lo sono. In piena età dei consumi. Paragrafo quinto Tutti sanno che gli "sfruttatori" quando (attraverso gli "sfruttati") producono merce, producono in realtà umanità (rapporti sociali). Gli "sfruttatori" della seconda rivoluzione industriale (chiamata altrimenti consumismo: cioè grande quantità, beni superflui, funzione edonistica) producono nuova merce: sicché producono nuova umanità (nuovi rapporti sociali). Ora, durante i due secoli circa della sua storia, la prima rivoluzione industriale ha prodotto sempre rapporti sociali modificabili. La prova? La prova è data dalla sostanziale certezza della modificabilità dei rapporti sociali in coloro che lottavano in nome dell'alterità rivoluzionaria. Essi non hanno mai opposto all'economia e alla cultura del capitalismo un'alternativa, ma, appunto, un'alterità. Alterità che avrebbe dovuto modificare radicalmente i rapporti sociali esistenti: ossia, detta antropologicamente, la cultura esistente. In fondo il "rapporto sociale" che si incarnava nel rapporto tra servo della gleba e feudatario, non era poi molto diverso da quello che si incarnava nel rapporto tra operaio e padrone dell'industria: e comunque si tratta di "rapporti sociali" che si sono dimostrati ugualmente modificabili. Ma se la seconda rivoluzione industriale - attraverso le nuove immense possibilità che si è data - producesse da ora in poi dei "rapporti sociali" immodificabili? Questa è la grande e forse tragica domanda che oggi va posta. E questo è in definitiva il senso della borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d'uomo: ma l'umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei "rapporti sociali" immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia, com'è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all'utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti marxisti ad una funzione socialdemocratica, sia pure, dal punto di vista storico, completamente nuova. Paragrafo sesto Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali, pazienti con tutti come santi, e quindi anche con me: l'alterità non è solo nella coscienza di classe e nella lotta rivoluzionaria marxista. L'alterità esiste anche di per sé nell'entropia capitalistica. Quivi essa gode (o per meglio dire, patisce, e spesso orribilmente patisce) la sua concretezza, la sua fattualità. Ciò che è, e l'altro che è in esso, sono due dati culturali. Tra tali due dati esiste un rapporto di prevaricazione, spesso, appunto, orribile. Trasformare il loro rapporto in un rapporto dialettico è appunto la funzione, fino a oggi, del marxismo: rapporto dialettico tra la cultura della classe dominante e la cultura della classe dominata. Tale rapporto dialettico non sarebbe dunque più possibile là dove la cultura della classe dominata fosse scomparsa, eliminata, abrogata, come dite voi. Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. E' ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti. Paragrafo settimo I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Ora, dire alterità è enunciare un concetto quasi illimitato. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C'è un'alterità che riguarda la maggioranza e un'alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell'aborto è un problema che riguarda la maggioranza. Infatti gli operai e i contadini, i mariti e le mogli, i padri e le madri costituiscono la maggioranza. A proposito della difesa generica dell'alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell'aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò - e voi lo sapete benissimo - costituisce un grande pericolo. Per voi - e voi sapete benissimo come reagire - ma anche per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male. Cosa voglio dire con questo? Attraverso l'adozione marxistizzata dei diritti civili da parte degli estremisti - di cui ho parlato nei primi paragrafi di questo mio intervento - i diritti civili sono entrati a far parte non solo della coscienza, ma anche della dinamica di tutta la classe dirigente italiana di fede progressista. Non parlo dei vostri simpatizzanti... Non parlo di coloro che avete raggiunto nei luoghi più lontani e diversi: fatto di cui siete giustamente orgogliosi. Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici (...) Paragrafo ottavo So che sto dicendo delle cose gravissime. D'altra parte era inevitabile. Se no cosa sarei venuto a fare qui? Io vi prospetto - in un momento di giusta euforia delle sinistre - quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova "trahison des clercs": una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita. Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione "creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili". Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.

mercoledì 26 agosto 2015

LA CRISI DELLA CLASSE MEDIA E DELLA POTENZA AMERICANA

di George Friedman [tradotto da Piergiorgio Rosso e pubblicato con l’autorizzazione di Stratfor:The Crisis of the Middle Class and American Power] La settimana scorsa ho scritto sulla crisi della disoccupazione in Europa. Ho ricevuto un sacco di reazioni, con gli europei d’accordo che quello fosse il problema principale e gli americani che dicevano che gli USA hanno lo stesso problema, osservando che il tasso di disoccupazione americano è doppio rispetto a quello ufficialmente ammesso dal governo. La mia controdeduzione è che la disoccupazione americana non è un problema dello stesso tipo che in Europa perché non pone una minaccia geopolitica. Gli USA non rischiano la disintegrazione per la disoccupazione, qualunque ne sia il tasso. L’Europa invece sì. Allo stesso tempo sarei d’accordo nel dire che gli USA hanno un potenziale problema geopolitico, ma a lungo termine, derivante dagli andamenti economici. La minaccia agli USA sta nel persistente declino del tenore di vita della classe media, un problema che sta ridisegnando l’ordine sociale in vigore dalla II guerra mondiale e che, se continuasse, porrebbe una minaccia alla potenza americana. La crisi della classe media americana. Il reddito mediano delle famiglie americane nel 2011 è stato pari a 49.103 USD. Aggiustato per l’inflazione, il reddito mediano è appena inferiore a quello del 1989 ed è inferiore di 4000 USD a quello del 2000. Il reddito netto, una volta detratti l’assicurazione sociale e le tasse federali, è un po’ meno di 40.000 USD. Cioè un’entrata mensile netta, per famiglia, di circa 3300 USD. E’ importante tenere a mente che metà delle famiglie americane guadagna meno di questo. E’ altrettanto vitale considerare non tanto la differenza fra il 1990 ed il 2011, quanto la differenza fra gli anni ’50 e ’60 e gli anni 2000. Qui è dove la differenza nel significato di classe media diventa più evidente. Negli anni ’50 e ’60 il reddito mediano permetteva di vivere con un solo stipendio – normalmente del marito, con la moglie tipicamente occupata come casalinga – e circa tre figli. Permetteva l’acquisto di una casa moderna, un’auto dell’ultima serie ed una più vecchia. Permetteva un viaggio di vacanza da qualche parte e, con una certa attenzione, una quota di risparmio. Lo so perché la mia famiglia apparteneva alla classe medio-bassa, e questo era il nostro modo di vivere, e conosco molti altri della mia generazione che avevano lo stesso stile di vita. Non era facile e molti beni di lusso non erano alla portata, ma non era affatto una brutta vita. Oggi chi guadagna il reddito mediano potrebbe arrivare a questo stile di vita, ma non sarebbe proprio facile. Se assumiamo che non abbia da pagare la retta dell’università, ma che abbia due auto da pagare con una rata di 700 USD/mese, e che paghi per cibo, vestiti e bollette 1200 USD/mese, gli rimarrebbero 1400 USD/mese per il mutuo, le tasse sulla proprietà, le assicurazioni, più qualche soldo per la manutenzione del condizionatore e della lavapiatti. Ad una tasso del 5% potrebbe permettersi una casa da 200.000 USD. Godrebbe di detrazioni dalle tasse che però compenserebbero il conto della carta di credito a Natale e le emergenze. Ce la farebbe, ma con grandi difficoltà nella maggior parte delle metropoli. E se il suo datore di lavoro non coprisse l’assicurazione medica, quei 4000-5000 USD necessari per tre, quattro persone, limiterebbero seriamente le sue spese. E naturalmente dovrebbe avere 20.000-40.000 USD in contanti per l’anticipo ed i costi di chiusura della casa. Rimarrebbe poco per una vacanza al mare coi bambini. E questo varrebbe per il reddito mediano. Quelli al di sotto – sarebbero espulsi da quello che è considerato lo stile di vita da classe media, con la casa, l’automobile e le varie amenità associate. Queste amenità scivolano in alto nella scala per chi guadagna almeno 70.000 USD/mese. Quelle di base potrebbero essere disponibile con un reddito mediano, date certe condizioni individuali favorevoli, ma al di sotto la vita diventa sorprendentemente magra anche nell’ambito della classe media e di sicuro in quella che chiamiamo classe medio-bassa. L’attesa di mobilità sociale Vorrei fare una pausa ed affermare che questa è stata una delle cause fondamentali della crisi dei prestiti sub-prime del 2007-2008. La gente al di sotto del reddito mediano, ha contratto mutui ad interesse differito con l’attesa di vedere aumentare i propri redditi, come tradizionalmente vero dalla II Guerra Mondiale. La caricatura del mutuatario come irresponsabile manca il punto. L’attesa della crescita del reddito reale è inscritta nella cultura americana e, sulla base di questo, molti hanno pensato che la crescita avrebbe ripreso entro cinque anni. Quando non avvenne, si trovarono in trappola ma, considerata la storia, non avevano fatto una scelta irresponsabile. La storia americana è sempre stata basata sull’assunzione che la mobilità sociale era possibile. Il Midwest e l’Ovest hanno aperto nuove terre da sfruttare e la massiccia industrializzazione nel tardo ‘800 e primo ‘900 offrì nuove opportunità. Nella cultura e realtà americana c’era scolpita un’attesa sistematica di mobilità sociale verso l’alto. La Grande Depressione fu uno shock e non fu risolta né dal New Deal né dalla II Guerra Mondiale da sole. Il successivo motore per la mobilità sociale venne nel dopoguerra dai programmi per veterani che erano più di 10 milioni. Questi programmi furono funzionali alla creazione dell’America post-industriale, creando una classe di professionisti nei suburbi. Ci furono tre programmi che risultarono fondamentali: La legge GI, che permise ai veterani di andare all’università dopo la guerra, diventando professionisti, spesso diversi gradini sopra i loro genitori; La sezione della legge GI che fornì prestiti garantiti dallo stato ai veterani, permettendo l’erogazione di mutui a basso o nullo anticipo e a basso tasso d’interesse ai laureati delle università pubbliche; Il sistema di autostrade interstatali finanziato dallo stato, che rese più facile l’accesso alle aree esterne ma vicine alle città, permettendo sia la diffusione della popolazione su terreni a basso costo (che rese possibile la casa unifamiliare) e, più tardi, la diffusione delle imprese nei suburbi. Indubbiamente ci furono tante altre cose che contribuirono a ciò, ma queste tre non solo hanno rimodellato l’America ma crearono anche una nuova dimensione all’ascensione sociale che era inscritta nella vita americana fin dalle origini. Inoltre questi programmi erano tutti rivolti ai veterani cui si riconosceva un debito oppure furono adottati per ragioni militari (le autostrade interstatali furono costruite per rendere possibile un rapido spostamento di truppe da una costa all’altra, cosa che durante la II Guerra Mondiale si trovò ad essere impossibile). Di conseguenza c’era consenso attorno alla qualità morale dei programmi. Il fiasco dei subprime aveva le sue radici nel non aver pensato che i fondamenti della vita della classe media non erano sotto una pressione temporanea ma sotto qualcosa di più fondamentale. Se un singolo reddito poteva sostenere una famiglia di classe media nella generazione del dopo guerra, ora ne necessitavano almeno due. Questo significava che l’aumento delle famiglie a doppio reddito, corrispondeva al declino della classe media. Più giù vai nella scala del reddito, maggiore è la probabilità di dover avere un figlio solo. Questo allentamento di pressione sociale rispetto ai genitori senza figli è stato certamente un pezzo del problema. Ristrutturare le grandi aziende Ma c’era, io penso, la crisi delle moderne grandi aziende. Le grandi aziende avevano assicurato un impiego a lungo termine alla classe media. Non era inusuale passare una vita intera di lavoro dentro una di esse. Lavorando in una grande azienda ricevevi un incremento di stipendio sia che fossi sindacalizzato che non. La classe media godeva della sicurezza del lavoro e dell’aumento annuale di reddito, insieme alla pensione e altri vantaggi. Nel corso degli anni la cultura della grande azienda divergeva rispetto alla realtà, perché la sua produttività languiva rispetto ai costi e le grandi aziende divennero sempre più inefficienti ed infine insostenibili. Inoltre le grandi aziende cessarono di focalizzarsi sul far bene una cosa ed invece divennero conglomerate con una direzione spesso incapace di tener dietro alla complessità delle molteplici linee di prodotto. Per queste e molte altre ragioni, le grandi aziende divennero sempre più inefficienti ed alla fine degli anni ’80, dovettero essere ristrutturate, che significava prese da parte, rimesse in pareggio, ridimensionate e ri-focalizzate. E la ristrutturazione delle grandi aziende, finalizzata a renderle agili, significava una rivoluzione permanente sul lavoro. Ogni cosa andava re-inventata. Furono investiti enormi denari gestiti da specialisti in ristrutturazioni. La scelta era fra fallimento o cambiamento radicale. Dal punto di vista del singolo impiegato questo significava spesso la medesima cosa: disoccupazione. Dal punto di vista economico, significava la creazione di valore attraverso lo “spezzatino” delle aziende, la chiusura di una loro parte o la de localizzazione del lavoro. Era finalizzata ad aumentare l’efficienza totale è ci riuscì in larga parte. Qui è dove avvenne la dissociazione. Dal punto di vista dell’investitore, si era salvata la grande azienda dal fallimento totale, ristrutturandola. Dal punto di vista dei lavoratori, alcuni mantennero il posto che avrebbero perso, mentre altri persero il posto che avrebbero perso in ogni caso. Ma la cosa grave non è tanto l’amarezza soggettiva di quelli che persero il loro lavoro, ma qualcosa di più complesso. Dal momento in cui il lavoro a tempo indeterminato declinò, un maggior numero di persone dovette ricominciare da capo. Alcuni dovettero ricominciare da capo ogni pochi anni, dato che le imprese rese più agili crescevano in modo più efficiente ed avevano bisogno di minor lavoro. Questo significava che se ottenevano un nuovo lavoro questo non aveva la buona paga della grande azienda, ma la paga pressoché di primo impiego delle piccole aziende che ora costituivano il motore della crescita. Se queste aziende fallivano, erano acquisite o cambiavano direzione, potevano perdere il lavoro e dovevano ricominciare di nuovo da capo. Il reddito non aumentava per questi lavoratori e per periodi anche lunghi potevano rimanere disoccupati, non ottenere mai più un lavoro nel loro settore reso obsoleto, e di sicuro senza prospettive di lavorare in una grande azienda nei successivi 20 anni. La ristrutturazione delle imprese inefficienti generò un valore concreto ma quel valore non rifluì ai lavoratori ora licenziati. Qualcosa rifluì ai lavoratori rimasti, ma gran parte di esso andò ai professionisti delle ristrutturazioni aziendali ed agli investitori che essi rappresentavano. La statistica dice che dal 1947 (quando i dati furono registrati per la prima volta) i profitti aziendali come quota del prodotto interno lordo [PIL – NdT] sono attualmente al loro massimo livello, mentre salari e stipendi come percentuale del PIL sono attualmente al loro livello minimo. Non era solo una questione di rendere più efficiente l’economia – ci si riuscì – era una questione di dove il valore si accumulava. Il segmento superiore della curva dei salari/stipendi e gli investitori, continuavano a fare soldi. La classe media si divise in una sezione che entrò nella classe medio-alta, mentre un’altra sezione affondò nella classe medio-bassa. La società americana nel complesso non è mai stata egualitaria. Si è sempre accettato che esistessero sostanziali differenze di stipendi e benessere. In effetti il progresso era in un certo senso trascinato dal desiderio di emulare i benestanti. C’era anche l’attesa che, mentre gli altri percepivano molto di più, l’intera struttura della ricchezza cresceva in tandem. Si capiva anche che alcuni potevano perdere, per incapacità o per sfortuna. Ciò che stiamo vivendo oggi è una deriva strutturale in cui il centro della classe media sta scivolando in basso in termini di qualità della vita, e non a causa di pigrizia o stupidità. E’ un cambiamento strutturale che è radicato in cambiamenti sociali (la rottura della famiglia tradizionale) ed in cambiamenti economici (il declino delle tradizionali grandi aziende e la creazione di aziende agili che pongono i singoli lavoratori in una posizione di netto svantaggio). La crisi inerente sta in una economia sempre più efficiente ed una popolazione che non può consumare ciò che produce perché non si può permettere quei prodotti. Questo è capitato diverse volte nella storia, ma gli Stati Uniti, ad eccezione della Grande Depressione, erano l’eccezione. Ovviamente questo fa parte di un dibattito politico acceso, salvo dire che i dibattiti politici identificano il problema senza chiarirli. Nei dibattiti politici qualcuno deve essere incolpato. Nella realtà questi processi sono al di là anche della capacità di controllo del governo. Da una parte le grandi aziende tradizionali hanno offerto benefici ai lavoratori finché non soffocarono sotto il peso dei loro costi. Dall’altra le efficienze hanno creato il rischio di minare i consumi, indebolendo la domanda effettiva di metà della società. La minaccia a lungo termine Il pericolo maggiore non si presenterà per decenni, ma si sta affacciando. Gli Stati Uniti sono stati edificati sull’assunzione che un’onda crescente solleva tutte le barche. Questo non si è verificato per la generazione passata e non vi sono indicazioni che tale realtà socio-economica cambierà presto nel futuro. Ciò significa che una premessa fondamentale è a rischio. Il problema sta nel fatto che la stabilità sociale è stata edificata attorno a tale assunzione – non che a ciascuno fosse dovuto uno stipendio, ma che nel complesso tutti avrebbero beneficiato di una produttività ed efficienza crescente. Se ci muoviamo verso un sistema in cui metà del paese è stagnante o perde terreno mentre l’altra metà si arricchisce, il tessuto sociale degli USA è a rischio, e con esso anche la massiccia potenza globale che gli USA hanno accumulato. Altre superpotenze come l’Inghilterra o Roma non avevano il concetto del miglioramento perpetuo della condizione della classe media, come valore centrale. Gli Stati Uniti sì. Se lo perde, perde uno dei pilastri della sua potenza geopolitica. La sinistra affermerebbe che la soluzione sta in leggi che trasferiscano la ricchezza dai ricchi alla classe media. Questo farebbe aumentare i consumi ma, a secondo dello scopo, metterebbe a rischio il capitale disponibile per gli investimenti a causa del trasferimento stesso e dell’eliminazione dell’incentivo ad investire. Non puoi investire ciò che non hai, e non accetteresti il rischio d’investimento se il ritorno fosse trasferito lontano da te. L’agilità dell’impresa americana è critica. La destra affermerebbe che permettere al libero mercato di funzionare, risolverebbe il problema., Il libero mercato non garantisce effetti sociali, ma puramente economici. In altre parole può garantire più efficienza nel complesso e far crescere l’economia nel complesso, ma di per se stesso non garantisce su come la ricchezza sia distribuita. La sinistra non può essere indifferente alle conseguenze storiche che avrebbe un’estremizzazione della distribuzione della ricchezza. La destra non può rimanere indifferente alle conseguenze politiche di una classe media messa in difficoltà, né può rimanere indifferente davanti all’impossibilità per metà della popolazione di comprare i prodotti ed i servizi che le imprese vendono. Le realizzazioni più significative eseguite dai governi tendono ad essere involontarie. La legge GI era stata emanata per limitare la disoccupazione dei reduci; ha creato involontariamente una classe di professionisti laureati. I prestiti VA erano progettati per stimolare l’industria delle costruzioni; ha posto le basi per la proprietà di case nei suburbi. Il sistema di autostrade interstatali serviva a muovere le truppe velocemente in caso di guerra; ha creato una nuova geografia dell’uso del suolo che erano i suburbi. Non è chiaro come il settore privato possa gestire il problema della pressione sulla classe media. I programmi governativi spesso mancano di soddisfare anche minimamente gli intenti, sperperando risorse scarse. Gli Stati Uniti sono stati una nazione fortunata, trovando soluzioni spesso in maniera inattesa. A me pare che se gli Stati Uniti non saranno ancora fortunati, il suo dominio globale sarà messo in discussione. Se consideriamo la sua storia, gli Stati Uniti possono aspettarsi di essere ancora fortunati ma solitamente lo è stato quando era impaurita. E a questo punto non è impaurita ma arrabbiata, perché pensa che se soltanto potesse mettere in pratica le proprie soluzioni, questo problema e tutti gli altri sparirebbero. Io sostengo che le soluzioni tradizionali offerte da tutte le parti, non arrivano neanche a capire la dimensione del problema – che le fondamenta della società americana sono a rischio – e pertanto tutte le parti si ritengono soddisfatte nel ripetere ciò che è stato già detto in precedenza. Persone più intelligenti e più fortunate di me dovranno dare forma alla soluzione. Io sto semplicemente indicando le possibili conseguenze del problema e l’inadeguatezza di tutte le idee che ho incontrato finora.